venerdì 11 marzo 2016



          Trouble conversations



Io veramente non riesco a capire.
Perché, perché la gente non sa leggere?
Voglio dire, sanno mettere insieme le lettere per comporre la frase, e se la frase è semplice tipo “ Scendo a prendere il latte “ riescono persino a comprenderne il significato, ma non appena le frasi si complicano, magari venendo poste all’interno di un discorso più ampio, con concetti più difficili o riferimenti ed esempi, allora ecco che si perdono. 
Improvvisamente non sanno più leggere.
Sì, perché non si tratta di quando parliamo a voce, no. Lì potrei capire; a volte in un discorso il nostro cervello recepisce solo alcune frasi, alcuni concetti, smista e processa solo le cose che a noi fanno più comodo, che sono più immediate e che per qualche motivo ci colpiscono di più. Ma quando scriviamo questo problema dovrebbe essere eliminato, no?
Insomma, se anche ti sei perso qualcosa puoi tornare indietro e rileggere per bene quello che è stato scritto per rispondere a tono.
E INVECE NO!
No, perché sarebbe tutto troppo semplice se si potessero fare delle conversazioni lineari in cui io faccio una domanda e tu rispondi a quella domanda, o io faccio un’affermazione tu rispondi con un’altra affermazione che è posta correttamente nel contesto della mia.
Ma figuriamoci! Come ho potuto anche solo pensare che potesse essere così semplice parlare con qualcuno!

No, parlare - e scrivere - con qualcuno è una delle cose più difficili che si possano mai fare. 
E perché, chiederete voi. Me lo chiedo anche io. Da più di diciannove anni, eppure ancora nessuno mi ha illuminato con un risposta soddisfacente.
Ma andiamo per gradi, spiegando quali sono alcune  delle varie problematiche e dei misunderstanding possibili durante un semplice dibattito.


Uan: ( uno)

A quanto pare, a causa della sempre crescente megalomania che invade le persone della nostra epoca, nessuno riesce più tanto facilmente ad ascoltare una voce che non sia la propria e di conseguenza a rispondere ad una domanda/ affermazione che è percepita più che altro come un vago ronzio disturbatore.
A volte se la conversazione è scritta le cose si facilitano un po’, ma questo problema persiste comunque, in quanto le persone spesso riescono anche a non leggere volutamente parte del tuo messaggio - o l’intero contenuto - dandone solo una loro interpretazione libera e intuitiva.
Good job, guys!


E da qui arriviamo proprio alla seconda problematica: la libera interpretazione.
Oh, musica per le mie orecchie!
La libera interpretazione è la “questio” che odio amo di più al mondo, e consiste nel fatto che spesso e volentieri ( diciamo pure novantanove volte su cento ) la gente legge o sente quello che hai detto/scritto e lo rielabora all’interno della propria scatola cranica producendo un sunto concettuale finale del tutto opposto rispetto a quello che il testo in realtà esprimeva.

Della serie:  “ Ehi, quei pantaloni non sono un po’ stretti? “
“ Vuoi dire che sono grassa?? “

No, volevo dire che dovresti guardare i cartellini prima di comprare le cose.


In poche parole, rigirano la frittata.



Eh sì, perché se non leggere o non ascoltare non basta, bisognerà pure che le care bestioline personcine si difendano in qualche modo, no?
E quale miglior modo se non cercare di metterti in bocca cose che non hai detto, preferibilmente offensive, così da non dover basare la loro antitesi su dei veri e propri fondamenti?
E’ geniale.

Per il terzo punto, invece, dobbiamo considerare che, sempre a causa della megalomania sopra citata, le persone tendono a partire troppo frequentemente dal presupposto di avere ragione.
Voglio dire, è bello credere nelle proprie idee e difenderle, ma ci sono alcune caratteristiche intrinseche di una discussione che ormai nessuno ricorda più.
Come nei temi argomentativi che ci danno a scuola, infatti, lo scopo della discussione dovrebbe essere quello di mettere a confronto due diverse argomentazioni, di cui una contesti l’altra, portando tesi e antitesi, svolgimento e conclusione. 
In poche parole, si dovrebbe poter dialogare esponendo entrambi le proprie opinioni basandole su prove, fatti, sondaggi, anche interpretazioni se si vuole, ma strutturate in modo da avere una ragione di esistere.
Questo purtroppo però, non avviene più nel 90% delle conversazioni since 80’!  da molto tempo, perché nessuno è disposto a cambiare la propria opinione, ascoltare quella altrui, apprendere da quello che la persona di fronte ha da dire o da quello che potrebbe essere sfuggito alla nostra stupefacente e infallibile analisi della questione.
In sostanza, tutto questo si basa sulla precisa convinzione di essere infallibili.

E io che pensavo che Dio fosse morto. Scusa Nietzsche.



Da qui possiamo passare quindi al punto numero quattro:
La permalosità.
Sì, mi rendo conto che come termine probabilmente non è molto professionale, ma fidatevi che rende bene l’idea. Un po’ come “ petaloso “.
( Sì, lo so, lo detestate tutti, non picchiatemi. Scherzavo. )

Senza scherzare, però, la “permalosità “ è veramente un grosso problema oggigiorno, che affligge più dell’ 85% della popolazione, soprattutto donne, tra le quali si registrano anche casi di tentato omicidio e aggressione. Per non parlare dei casi di attività passivo-aggressiva.
Ti dicono di non essersela presa e dopo venti minuti ti trovi le gomme della macchina bucate. Tipico.

Questa tendenza ad offendersi per qualunque cosa non sia in linea con l’opinione espressa è alquanto snervante, in quanto demolisce una qualsiasi conversazione sul nascere e fa anche salire il desiderio di fratturarvi il malleolo in noi poveri sventurati che abbiamo avuto la brillante idea di intavolare una conversazione con voi.

Ma soprattutto, l’essere permaloso non contempla e non riesce in alcun modo ad elaborare nessun tipo di battuta o scherzo, di qualunque tipo, entità o pesantezza essa sia. 

Non importa se le hai affettuosamente e goliardicamente paragonate ad una simpatica e dolce ranocchietta dei cartoni animati o se le hai appena detto 
“ tutti quelli con la nonna viva facciano un passo avanti… te no che ti è morta stamattina “
Lei ti odierà in ogni caso, anche nel caso in cui non dovesse nemmeno capire la battuta. Percepirà che era tale e ti odierà a prescindere.




Ma questo non sarebbe nemmeno un grosso problema in effetti, se gli individui permalosi fossero facilmente riconoscibili. Se avessero una qualche espressione distintiva o riuscissero a trasmettere nei primi trenta secondi di conoscenza questo loro fastidio patologico nel venire contraddetti, cosicché noi individui intellettivamente normodotati e con non troppa pazienza potessimo semplicemente evitare di iniziare un discorso più serio del racconto dell’ultima volta che siamo stati dal parrucchiere o a fare la spesa.
Ecco, se fosse così facile riconoscerli, non ci sarebbero grossi problemi. Lo sapremmo ed eviteremmo spiacevoli situazioni.
Ma no! Perché ancora una volta, sarebbe troppo facile.
No, la particolarità ancora più particolare (?) dei permalosi è quella che non sanno o fingono di non sapere di esserlo. 
Esatto.
Così, voi dialogate con una persona adorabile, che vi dice che la sincerità per lei è tutto, che il confronto apre la mente, che attraverso il dialogo vi può essere un arricchimento, che è aperta al confronto e ad ogni opinione, che qualunque cosa le diciate vi ascolterà senza riserve e che potete esprimere liberamente la vostra opinione, anche se fosse una critica, perché le critiche sono costruttive e di certo non potranno che aiutarla a migliorare…!

What about NO.



No. Non è vero. VI STA MENTENDO. Quella persona non ha idea di cosa siano le critiche costruttive; lo ha sentito solo dire in giro così tante volte che ormai lo ripete in automatico, come un robot, sperando che neanche voi sappiate cosa siano, perché non ha alcuna reale intenzione di intavolare una discussione con chicchessia. 
No, quello che vuole è tutto l’opposto: vuole essere ascoltata, ammirata, elogiata, vuole la vostra piena approvazione e che la eleggiate vostro mentore e nuovo Budda. 
Questo è quello che vuole.
E quando voi non glielo darete, vi azzannerà al collo come fosse una iena con la rabbia.

E quando la permalosità sfocia in comportamenti del genere, ecco che diventa il quinto motivo per cui parlare è così stressante:
L’ipocrisia. 
Questa infatti va a braccetto con la permalosità, anche se non è affatto detto che una persona permalosa sia ipocrita, chiariamo.

Comunque, la persona ipocrita è la peggiore: finge di avere certi ideali, certi valori, certe opinioni, ma andando avanti con il discorso inizia a smontare pezzo per pezzo ognuna delle cose in cui aveva precedentemente detto di credere. 
Sì, esatto. Lo fa. Non so come, non ho idea di come si faccia a contraddirsi così bene da soli, ma loro ci riescono.
Solitamente fingono che quello che stanno dicendo sia invece perfettamente d’accordo con le linee guida precedentemente esposte, ma in realtà dimostrano di essere l’opposto di quello che dicono.

(E qui non ho ancora ben capito se pensino che noi che li ascoltiamo siamo scemi o se quelli scemi sono loro e davvero non si accorgono di quanto siano in contraddizione con loro stessi in ogni cosa che fanno, persino scaccolarsi.)

Fatto sta che questo è un altro grande problema della conversazione, nonché uno dei motivi principali per cui quando arrivo a metà di una discussione ringrazio Dio per non avermi fatto nascere in America, o avrei già fatto numerose stragi.

Della serie “ Dio dammi la pazienza perché se mi dai la forza fo’ una strage “.




Ma per concludere, ecco il punto NUMBER SIX: la ritirata.

La ritirata è la fase finale della conversazione, arrivati alla quale di solito sono passati almeno 45 minuti e la persona davanti a voi, che di solito ha già presentato uno o più dei precedenti “disturbi della conversazione “ inizia a manifestare un’evidente voglia di porre fine alla discussione e finge di essersi stufata di parlare con voi esseri inferiori.
In realtà, i motivi per cui vogliono terminare la conversazione, sono essenzialmente tre:

Number one: Non hanno più argomenti per sostenere la loro tesi o la loro opinione, i loro discorsi stanno facendo acqua da tutte le parti e questo vuol dire che tu stai vincendo, ma non lo ammetteranno mai, nemmeno se dovessero dire che un cammello ha una sola gobba pur di farcela, per cui tentano di liquidarti in qualche modo per poter dare forfait fingendo che quello senza speranze di sopravvivenza eri tu.

Number two: Il loro cervello è in ebollizione, non riescono a sostenere un discorso per più di quaranta minuti e se continueranno ancora per molto saranno costretti a mantenersi lucidi con una flebo di soluzione salina endovena per non crollare sfiniti. Pertanto, cercano di fuggire il prima possibile.

Number tree three: I loro “disturbi della conversazione” sono troppo accentuati e stanno per avere uno sfogo cutaneo dovuto al troppo a lungo represso bisogno di avere ragione che li porterà a breve a comportarsi come una mucca affetta da encefalopatia spongiforme.

Così, per uno di questi tre reali motivi, mascherati con una frase di solito simile a “ Sì, sì, va bene, ognuno la pensa a modo suo “ o “ Okay, direi che possiamo finirla qui tanto nessuno dei due cambierà opinione”  finirà che porranno fine alla terribile conversazione, oppure in alternativa sarete voi a proporre una di queste frasi ( che ormai sono diventate di circostanza, come gli auguri a Natale ) pur di farle tacere e togliervele dai piedi prima di commettere qualche crimine che per ragioni di età non potreste più scontare al riformatorio. 
Meno male anche stavolta l’abbiamo scampata.


Ma solo fino al prossimo round.


sabato 5 marzo 2016

                                    
                                   About justice

Salve.
So che non ci conosciamo e che non sapete nulla di me, ma non importa.
Questo blog da oggi sarà il mio diario, attraverso il quale imparerete a conoscermi e spero ad apprezzarmi. E se così non fosse, andrà bene uguale, perché questa sono io e non posso chiedere scusa a nessuno per ciò che sono.

Sono una persona estremamente riflessiva, probabilmente troppo, e spesso mi pongo interrogativi ai quali non so dare risposta. Perché io mi ostini a farlo non lo so, fatto sta che devo farmi almeno una domanda impossibile al giorno.
Come diceva Alice “ a volte riesco a credere a sei cose impossibili prima di colazione “.

La questione sulla quale riflettevo oggi e della quale non riesco a capacitarmi è come sia possibile che le persone che soffrono di più siano anche quelle a cui importa di più.
Io sono sempre stata una di queste, ma il mio giudizio non si basa solo su di me: ogni volta che vedo qualcuno che soffre scopro che alla fine era quello che teneva di più a qualcosa o qualcuno. 
E potrebbe sembrare un’osservazione stupida, o scontata, ma fidatevi che non lo è. 
Insomma, mi chiedo, perché se io già ci tengo più di te e quindi sono svantaggiata, devo rimetterci anche standoci peggio? Non è per nulla giusto.
E questo vale sia in amore che in amicizia.
Non so voi, ma io sono quella persona ( sfigata ) che quando si incazza piange, ad esempio. E già questo mi fa apparire debole. In più, ho la sfortuna che se non sviscero le cose non sto bene. Con me bisogna parlare, parlare, parlare. E la gente fondamentalmente non c’ha per nulla voglia. Fotte sega, diciamo a Firenze.
Ecco. A me invece frega. E’ questo che mi frega sempre.
E mi fa imbestialire! 
Voglio dire, se esistesse una giustizia divina, non pensate che per ogni cosa buona che fate, per ogni volta che vi impegnate in una relazione di qualsiasi tipo e finisce tutto a puttane, per ogni volta che vi fate il sangue amaro per qualcuno o qualcosa dovreste essere ricompensati? 
Perché voi vi siete impegnati, ce l’avete messa tutta, vi siete fatti in quattro, eppure è finita alla merda lo stesso. Come sempre.
Ecco, io oggi riflettevo su questo.
Non rimpiango tutte le volte che mi hanno lasciata col culo a terra ( avrei preferito avessero un po’ più di riguardo alla cortesia, ma fa niente ), perché era quello che volevo fare ed era la cosa giusta per me in quel momento. 
Vorrei solo che alla fine ci fosse un po’ di giustizia, un po’ di karma o che so io. Non mi sembra una richiesta tanto spropositata, vi pare?
What goes around comes around.
Così dovrebbe essere.
No?